Nel pieno dell’emergenza da COVID-19 con scuole chiuse e didattica a distanza per ogni scuola di ordine e grado è chiaro a tutti che stiamo affrontando una sfida senza precedenti. I più si avventurano disorientati nel labirinto del digitale sperando sia solo una parentesi in attesa del ritorno alla normalità. Altri attingono ad abitudini già sperimentate consolidando e affinando usi e conoscenze di un mezzo già noto. Per altri ancora sopravviene la paura che l’esperienza possa trasformare per sempre la scuola e il modo di imparare e insegnare. Non passa giorno che il nome del Maestro Manzi e le sue lezioni televisive non siano evocati come possibile ispirazione di metodi e soluzioni. È indubbio che Manzi abbia, a tutt’oggi una quantità di lezioni da insegnarci e che la sua visione educativa improntata alla partecipazione e alla scoperta non possa che continuare a guidarci. Ma chi era veramente il maestro Manzi e che cos’ha (o non ha) a che fare con la didattica a distanza che possa aiutarci oggi ad affrontare le sfide del nostro tempo?
La didattica a distanza con cui il COVID-19 ci impone oggi di confrontarci nasce, in primo luogo, dalla necessità di distanza sociale. Maestri e bambini, studenti e docenti non possono più stare vicini. La scuola che conosciamo, opportunità di relazione e socialità – oltre che di apprendimento – è diventata, improvvisamente, un luogo di pericolo dove il virus, nemico invisibile, minaccia anche la quotidianità dei rapporti. La didattica in remoto deve così sostituirsi a quella in presenza, proponendosi quasi come un mondo parallelo. È una didattica a cui è posta la sfida di continuare a stimolare, aprire menti e suscitare la curiosità dell’apprendimento, in assenza di requisiti fondamentali che coinvolgano il corpo oltre che la mente. La fisicità dei movimenti e delle relazioni, il coinvolgimento dei sensi, l’incontro tra corpi vivi che si muovono ed esplorano non supportano più l’apprendimento nei modi a noi noti e siamo forzati ad esplorare altri percorsi.
Facciamo ora un passo indietro al 1960, anno in cui il Maestro Manzi iniziò a condurre la trasmissione Non è mai troppo tardi. Troviamo qui una didattica a distanza profondamente diversa non solo negli strumenti (più di mezzo secolo fa una grande differenza) ma nei modi e negli scopi. La televisione non era semplice strumento di trasmissione, bensì sistema educativo con una precisa missione formativa. Il programma a cui Manzi contribuì con il suo ruolo di creatore di contenuti, conduttore e maestro, era supportato da una precisa e studiata rete di interventi che andavano ben oltre le sue apparizioni televisive: punti di ascolto periferici, maestri e apparecchi televisivi inviati sul posto, eserciziari che integravano le lezioni televisive così che gli alunni potessero ottimizzarne gli stimoli. L’obiettivo era raggiungere ed educare una moltitudine di persone che non avrebbero diversamente avuto accesso all’istruzione attraverso la didattica tradizionale. Si assisteva ad una risposta istituzionale ai bisogni educativi di un paese ancora profondamente segnato dall’ineguaglianza sociale e dai problemi economici.
Se la didattica a distanza del COVID-19 deve, in un meccanismo senza precedenti, farsi strumento educativo per un’intera società a cui è stata sottratta ogni forma di interazione fisica e deve sostituirsi alla didattica in presenza per tutti gli alunni, la didattica a distanza operata dal Maestro Manzi si rivolgeva a uno strato preciso della popolazione: gli esclusi, coloro che si ritrovavano, per una ragione o per un’altra ai margini della società. Integrando la didattica in presenza che da sola non sarebbe bastata a raggiungere tutti, Non è mai troppo tardi gettava dei ponti a coloro che più ne avevano bisogno. Se la didattica a distanza odierna, attraverso la richiesta (ma non la garanzia) dell’uso di un computer o un tablet, dell’accesso alla rete e della disponibilità di spazi adeguati da cui connettersi, mette in evidenza il divario digitale e sociale tra gli apprendenti, la didattica a distanza in cui operava Alberto Manzi faceva esattamente l’opposto, colmando quel divario, e offrendo l’opportunità ai soggetti più fragili della società di riscattarsi attraverso l’alfabetizzazione.
Cos’abbiamo dunque da imparare oggi da un’esperienza di più di cinquant’anni fa che era così diversa nei mezzi, negli obiettivi e nei presupposti? Se ci poniamo nella giusta prospettiva di osservazione, gli insegnamenti sono molti e importanti. Dobbiamo però resistere alla tentazione di pensare al maestro Manzi solo come a un precursore dell’istruzione a distanza. Se guardiamo a lui come all’educatore che ha ispirato con rispetto, pazienza e passione migliaia di italiani ad apprendere gli strumenti della lettura e della scrittura, le sue lezioni televisive ci appariranno non solo come un esempio di tecniche multimediali all’avanguardia bensì come una guida e un esempio di valori umanistici che, oggi più che mai sono irrinunciabili. I 484 episodi televisivi di Non è mai troppo tardi non si discostano infatti nella loro didattica ispiratrice dai principi fondamentali del “Movimento di Cooperazione Educativa” a cui Alberto Manzi era molto vicino: il rispetto della persona, la solidarietà sociale, il valore del porre domande, lo sviluppo dello spirito critico e del senso di responsabilità. Tutti presupposti fondamentali per quella che potremmo definire oggi la formazione della cittadinanza attiva.
Sebbene Manzi abbia dimostrato nelle sue lezioni televisive di aver intuito una serie di principi propri dell’insegnamento online facendo uso di immagini, video e disegni, segmentando le sue lezioni e personalizzandole, Il valore fondamentale del suo lavoro non sta nelle sue abilità tecniche (o certamente non solo) ma nel percorso chiaro e visibile che passa attraverso l’empatia, il rispetto dell’essere umano, e la ricerca di significati che vadano oltre i contenuti e le lettere dell’alfabeto. Torniamo indietro al 14 gennaio del 1966, uno dei giorni di messa in onda della trasmissione che, grazie alla presenza amichevole e alla gentilezza del Maestro televisivo, era diventato un appuntamento regolare nella giornata di molti italiani. Dallo schermo, Manzi saluta i suoi telespettatori, chiacchiera con loro del più e del meno e crea la migliore condizione per l’apprendimento: la fiducia. Sebbene la trasmissione sia rivolta a un pubblico di analfabeti, moltissimi bambini in età prescolare godono delle sue lezioni e, a detta delle loro migliaia di lettere, imparano a leggere e scrivere insieme lui. “Siamo qui per imparare a conoscere meglio il mondo e noi stessi. È a questo, dopotutto che serve leggere e scrivere”. Così Manzi inizia la sua lezione, chiarendo sin da subito che leggere e scrivere sono solo strumenti. Attraverso domande e sfide a comprendere la realtà, il maestro solletica l’attenzione del pubblico, la sua curiosità, tenendo sempre attiva quella che lui amerà chiamare tensione cognitiva. Dopo aver tracciato sul suo grande blocco bianco (l’equivalente televisivo dell’irrinunciabile lavagna) parole che il pubblico non è ancora in grado di decifrare [pino, mare, nave, casa], il Maestro guardando dritto nelle case degli italiani chiede: “cosa ho scritto?”. Il tono è quasi di scusa quando ammette di essere consapevole che ancora gli amici a casa non sanno leggere le sue parole. “È proprio per questo [dice con tono rassicurante] che siamo qui insieme. Per superare questa difficoltà’”.
Con pochi, abili tratti di carboncino nero su foglio bianco, Manzi darà vita a un paesaggio marino evocando immagini ben note al pubblico a casa: un pino sullo sfondo del mare, una nave in lontananza, e infine una casa sulla riva. “Voi qui avete potuto leggerle [le parole], perché?”. Spiega con semplicità e chiarezza che le immagini altro non sono che simboli, e questa è la ragione per cui a casa gli spettatori hanno potuto dare loro un senso. Altri segni, continua Alberto Manzi, come i grafemi che formano le parole pino, mare, nave, casa sono simboli a loro volta, che ci permettono di comunicare tra di noi, e di leggere quello che altri hanno scritto. Nel parlare al suo pubblico della corrispondenza tra il significante e il significato, il maestro televisivo porta l’insegnamento dell’abc a un più alto livello cognitivo. Dirigendo l’attenzione degli spettatori sul ruolo della lettura come mezzo per la comprensione della realtà, li rende partecipi del progetto educativo di Non è mai troppo tardi, e non suoi semplici destinatari. I trenta minuti di lezione di giovedì 14 gennaio 1966 e dei giorni che seguiranno sono pieni di idee, attività, ospiti in studio, ispirazioni attinte al quotidiano così da non far mai dimenticare al suo pubblico che la lettura e la scrittura sono una parte fondamentale della vita, ma che ognuno deve metterci del proprio.
Le lezioni televisive di Alberto Manzi erano molto di più del tentativo di alfabetizzare l’Italia degli anni Sessanta. Erano incontri costellati di domande, di pause da riempire, di tratti abbozzati da indovinare, di poesie su cui riflettere, valori da riconoscere e in cui riconoscersi. Nell’elevare le aspettative culturali dei suoi telespettatori, nel proporre un percorso fatto di empatia e valori condivisi, Alberto Manzi affermava che non c’è lettura e scrittura che possa prescindere dalla centralità dell’essere umano; che un’alfabetizzazione, e quindi una cultura, si costruiscono soprattutto sull’idea di comunità, sviluppando uno sguardo più attento su noi stessi e sugli altri. È questa la lezione di cui abbiamo bisogno quando pensiamo alla didattica a distanza che l’emergenza del COVID-19 oggi ci impone. Abbiamo bisogno di prendere distanza da una didattica che dimentica gli obiettivi concentrandosi sui mezzi. Non è stando seduti davanti a un computer o a un televisore che impariamo qualcosa; non è veicolando contenuti attraverso quel computer o quel televisore che insegniamo qualcosa. Dobbiamo continuare ad interrogarci sui valori che ci guidano, sul dove ci conducono e su come i processi, i mezzi e i modi educativi che adottiamo siano (o non siano) coerenti con i nostri valori. Prendiamo dunque ad esempio Alberto Manzi ma ascoltiamolo fino in fondo quando ci parla di onestà, partecipazione, responsabilità e rispetto.
L’ articolo è pubblicato dal sito “Insula Europea“